sabato 7 maggio 2011

TRA RISCHIO E CORAGGIO

I soci si raccontano

Intervista a Maria Luisa

Non lo nascondo, quella mattina in cui ho intervistato Maria Luisa mi sono emozionata. Per la forza d’animo che dimostra, per quella volontà di vivere al meglio il tempo presente, per i racconti del suo tempo passato, quando il coraggio le faceva da compagno nei suoi viaggi da staffetta partigiana. Mentre parlava ogni tanto stringeva i pugni e mi mostrava la portata emotiva di quei fatti mai dimenticati. C’era davanti a me una persona che aveva rischiato la vita per un ideale, e rischiato talmente tanto che mi sembrava davvero un evento importante sentirla raccontare.
Maria Luisa è nata a Modena 85 anni fa, quando la città aveva altri ritmi, altri odori, e si poteva girare con le poche auto che c’erano tutti i giorni della settimana.

Allora Maria Luisa,  elenca un po’ tutte le cose che fai.

Come socia della Banca del Tempo vengo in ufficio il giovedì mattina, partecipo all’incontro mensile e vengo a far due chiacchiere al thè delle cinque il venerdì. Partecipo alle serate di giochi di carte e anche alle gite fuori Modena. Sono iscritta ad altre tre Associazioni, due volte alla settimana vado a ginnastica psicosomatica… devi sapere che sono sempre stata una sportiva, facevo ginnastica ritmica e ho fatto roccia con il CAI. Poi sono un’appassionata di pallavolo e di calcio, ho la tessera di supporter per la squadra di pallavolo: mi porto la bandiera e urlo a più non posso… a me piace stare in mezzo ai giovani, anche se fanno casino, io sto bene quando sono in mezzo a loro. Poi mi piace la musica e le Operette che vado a vedere a Teatro. Ho sempre avuto questa passione, anche perché mio fratello studiava insieme a Pavarotti.

Vorrei sapere come hai conosciuto la Banca del Tempo.

Mi sono iscritta nel gennaio del 2007 in seguito ad una chiacchierata con Italina, una socia di Modena. Lei mi spiegò degli scambi, degli incontri dove si socializzava, delle gite… Tutte cose di cui avevo bisogno perché per me è di vitale importanza stare in compagnia.

Quando chiedo a Maria Luisa se ha vissuto da vicino la brutta esperienza della II Guerra mondiale la forza dei ricordi arriva sfacciata e prepotente, e quegli stati d’animo di molti anni prima bruciano di nuovo…

La guerra mi ha avvelenata.
Ero una ragazza di 17 anni piena di vita e di speranze, a cui piaceva andare a ballare, divertirsi. Avevo degli amici all’Accademia militare. Con l’inizio della guerra una parte sono scappati in montagna per non doversi aggregare con i fascisti, una parte si unirono ai comunisti, un parte seguirono la Brigata Julia e altri ancora diventarono partigiani. Una diaspora.

Quando torturarono e uccisero alcuni dei miei amici la mia decisione arrivò tragica, rabbiosa e precisa: “Voglio fare qualcosa!”. “Ci pensiamo noi” mi dissero le poche persone di cui mi fidavo, ed entrai nel movimento partigiano. La mia vita cambiò drammaticamente: di giorno lavoravo (insegnavo dattilografia) e di notte portavo in giro giornalini e volantini rischiando la vita… questa era l’Informazione, altro che Internet! Ho fatto parte dei Gruppi Armati Proletari poi sono entrata con Alfeo Corassori nel Partito Comunista clandestino. La prima volta che mi trovai a casa di Corassori alcuni dei suoi seguaci erano in difficoltà perché, per via della mia giovane età, non sapevano che incarichi affidarmi. Qualcuno propose una missione pericolosa ma la moglie di Corassori si oppose dicendo: “Ma no, è troppo giovane, è  una “monella”. Da quel momento il mio nome di battaglia fu Monela. Facevo la staffetta Modena-montagna. Mi spostavo in bicicletta, il freddo dell’inverno mi faceva venire le ginocchia blu. Qualche volta mi fermavano i tedeschi ma io dicevo che andavo a trovare mia zia in montagna e loro ci credevano, forse perché dimostrando meno della mia età non destavo sospetti…

Una ragazzina da sola per strada… un’immagine che al giorno d’oggi fa tremare…!

Oh, allora non si stuprava, a quei tempi si uccideva direttamente. Io almeno non ci pensavo proprio, ci voleva sangue freddo per fare la vita che facevo io.

Ma non avevi paura?

Adesso che ho una certa età non lo farei, ma a quei tempi vivere era difficilissimo, giravi per la strada e non sapevi se chi ti passava vicino era un amico o un nemico, era una vita tragica, una lotta senza confine, e quando da giovane vedi certe atrocità non senti neanche più la paura!

Dopo aver attraversato tanto dolore come ti trovi nella società attuale?

Delusa. E disagiata, perché siamo in mano alla malavita, io ho fatta tanta fatica, ho affrontato tanti pericoli e mi ritrovo in mezzo alla delinquenza.  Sì è vero, non si tortura più, ma l’abisso tra ricchi e poveri è un’involuzione assurda della società. Ma io spero ancora nelle forza di persone che insieme possano vincere lo strapotere della delinquenza.

La tua è una storia affascinante, ci vorrebbe tanto tempo per scrivere tutto quello che hai vissuto, ma ora parlami della tua esperienza di giornalista.

Allora, io mi sono diplomata alle Magistrali e già lì mi piaceva molto scrivere. Dopo la Liberazione mi sono interessata al giornale che si chiamava “Il Progresso” dove mi occupavo della cronaca di Modena. Per raccogliere notizie andavo in Questura, alle riunioni del Consiglio comunale e facevo anche dei “pezzi di colore”, cioè andavo in giro per la città dove potevo trovare del materiale per  scrivere un fatto di cronaca rosa o altro. Mi riusciva facile, da un fatterello ci ricavavo un articoletto. Poi ho fatto dei Concorsi e mi hanno assunta in Provincia. Lì lavoravo per Triva (fu Vice della Provincia di Modena e successivamente Sindaco della Città) ero una specie di ghostwriter, cioè, lui mi dava dei giornali o dei libri che io dovevo riassumere per le sue Conferenze o altro utilizzo. E lì sono stata fino alla pensione, ma siccome ero ancora giovane per sottrarmi dal lavoro mi son messa a battere delle Tesi. E più tardi accettai di dattilografare per l’Ospedale, ma oltre a quello mi chiedevano di riordinare elenchi e riassunti di Professori dell’ospedale: era interessantissimo, c’era da farsi una cultura.

A distanza di cinque anni ti iscriveresti di nuovo alla Banca del Tempo?

Sì, sono contenta, è un’esperienza che mi ha soddisfatta e mi ha giovato, per le persone e per le attività, specialmente per i pomeriggi del “Thè delle 5” dove mi diverto.

Elena135

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